IL CATCALLING

Negli ultimi giorni, dopo vari episodi, si è discusso molto di catcalling. Sul dibattito vi è una vera e propria spaccatura: da un lato c’è chi crede che sia un reato e, in quanto tale, non debba essere compiuto, dall’altro coloro che ritengono sia una semplice lusinga alla bellezza di una persona.

La parola catcalling indica una serie di atti, complimenti non richiesti, commenti volgari indirizzati al corpo della vittima o al suo atteggiamento, fischi e strombazzate dall’auto, domande invadenti, offese e perfino insulti veri e propri che, in quanto ritenuti espressione di una mentalità sessista e svalutante, costituiscono un tipo specifico di molestia sessuale.

Secondo uno studio condotto dalla Cornell Univeristy nel 2015, circa l’80% delle ragazze intervistate in Italia aveva dichiarato di aver subito almeno un episodio di catcalling al di sotto dei 17 anni.

Alla domanda: “il catcalling è un’offesa o un complimento?” è possibile rispondere solo grazie alle testimonianze delle vittime. Come scrisse Ugo Foscolo in uno dei suoi lavori: “Come puoi ragionare di cose che non conosci?”.

Il modo migliore per comprendere qualcosa è cambiare punto di vista. Indossando i panni del “catcaller” è facile intuire come l’atto non desti né turbamento né alcun tipo di danno, ma semplice svago, mentre per la vittima risulta un problema. “Ma come può un semplice complimento essere un reato?”, “Ai miei tempi non era così!”, “State danneggiando la mia libertà di espressione!”.

Chiedete ad una persona se le piace essere fischiata per strada.

La cosa da comprendere è che il problema non si ferma al fischio. Il problema è la paura che lascia nel singolo che lo riceve: paura che si possa andare oltre il fischio, di non poter passeggiare come e quando si vuole, che qualcuno possa seguirti fin sotto casa. È molestia verbale e, solitamente in questi casi, non è il molestatore a decidere se sta commettendo uno sbaglio oppure no.

Quante volte abbiamo attraversato la strada per non passare davanti a quei ragazzi che già ci fissavano da lontano? Quante volte abbiamo finto di stare al telefono per sentirci vagamente protetti? E quante volte ancora dovremo farlo?

Non sono solo due complimenti

ALESSANDRO PANNONE

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